Coma Cose

Parole come immagini. L’ascolto dei brani del duo hip hop milanese Coma Cose stimola una certa curiosità anche in chi, come me, non si è mai interessato a un genere che a un orecchio superficiale può suonare irritante e un po’ respingente. Il loro tratto distintivo è la freschezza delle modalità sintattiche con cui parole, e necessariamente immagini, eterogenee si concatenano nello snocciolìo dei testi, formando un sistema semantico originale che che strizza l’occhio al cantautorato e fa leva su un immaginario collettivo tutto italiano. L’oggetto di questo scritto sono le scelte combinatorie che presiedono all’assemblaggio della parole in strofe, la produzione di significato attraverso la giustapposizione di elementi, argomento di mio interesse rispetto a certe pratiche, ricorrenti nelle arti visive contemporanee, che accomunano il lavoro di artisti e curatori, ruoli oggi finalmente sempre meno distinti e sempre più intercambiabili.

Il problema è innanzitutto il vecchio adagio postmoderno ancora del tutto attuale: come dare senso e cosa fare dell’enorme archivio di immagini e parole, di repertori, testimonianze e collezioni di meraviglie che si accumulano nelle stanze dei musei, nella rete e sempre meno della memoria? Coma Cose risponde assemblando frammenti eterogenei secondo l’assonanza delle parole, l’allitterazione, la rima, l’analogia delle immagini che si susseguono, libere da ogni finalità narrativa, per rappresentare una vita di quartiere che scorre in sordina tra birrette e piccole cose. Sono frammenti che si definiscono tali rispetto agli immaginari che evocano, spesso legati alla musica e alla cultura pop italiana, dotati di un potenziale emotivo in cui un ampio spettro di pubblico può riconoscersi. Anche se lo sguardo al passato si fa a volte malinconico (Anima Lattina), più spesso si rivolge subito altrove, evitando compiacimenti nostalgici con abili deviazioni (“Gianna Gianna aveva un coccodrillo sopra la maglietta che paga lo sponsor” in Jugoslavia) che mantengono il tono dei brani elegantemente in bilico tra leggerezza e introspezione. Al di là di queste considerazioni generali, un’accurata analisi dei testi di Coma Cose, come quella condotta da Stefano Ghidinelli con altri esempi dalla scena hip hop italiana, potrebbe illustrarne in dettaglio gli aspetti linguistici, gli espedienti ritmici e descrivere con precisione la tecnica poetica adottata. Per quanto mi riguarda, occupandomi di arti visive, propongo invece di considerare le parole come un vero e proprio materiale plastico, fatto di pezzi colorati da smontare, montare e rimontare, una selezione di ritagli significativi, una collezione di cose restituite dal mare e raccolte durante una passeggiata sulla spiaggia d’inverno. Ogni parola un oggetto trovato, sottratto al suo contesto d’uso, un ready-made, un componente che, per le sue qualità formali e organolettiche, attrae o respinge altri oggetti, suggerisce accoppiamenti e genera associazioni. Con una simile premessa, viene spontaneo paragonare il processo creativo che presiede alla composizione di quei pezzi alla pratica del collage, che ha avuto recentemente una certa fortuna nel mondo dell’arte (cfr. Dennis Bush, The Age of Collage: Contemporary Collage in Modern Art, 2013) e della fotografia contemporanea (cfr. Charlotte Cotton, Photography is Magic, 2015) ed è tuttora ampiamente diffuso e gode di rinnovata popolarità tra gli utenti della rete. Un accostamento facile facile, che del resto richiama le origini della stessa musica hip hop, la pratica del sampling, la campionatura di suoni che estratti dal loro contesto originario assumono sempre nuove valenze una volta copiati e organizzati in pattern e ulteriormente riassemblati nella preparazione dei dischi remix, a loro volta materiale per ulteriori pratiche combinatorie. Ma torniamo a soffermarci sull’ipotesi del paragone tra poesia e immagine e a considerare il collage come pratica parallela alla scrittura. Le pubblicazioni di Mékanik copulaire, documentano un’ampia casistica di possibilità combinatorie finalizzate alla creazione di immagini inedite con ritagli eterogenei, spesso provenienti da pubblicazioni d’epoca.

billl noir

Bill Noir, Des Astres, 18 x 15 cm, 92 pages, edition of 200 copies published by Mécanik Copulaire, Strasbourg, France, June 201

I collage di Bill Noir, per esempio, includono immagini a cui sappiamo dare un nome (denti, ferro da stiro, tessuto, mosca, busto, braccia, torso) contenute nel perimetro del ritaglio che si sovrappone a quanto abbiamo appena riconosciuto, conferendogli una nuova fisicità oggettuale e straniante.

Sarah Mosk, Joined Gaze, 2012

Sarah Mosk, Joined Gaze, 2012

Nella figura creata da Sarah Mosk invece la lettura e il riconoscimento delle immagini sono compromesse dalla sovrapposizione di una sagoma che risulta disturbante per ridondanza. In entrambi i casi comunque la somma delle parti è del tutto indipendente dalla sue componenti, un complesso plastico strutturato che spontaneamente diventa significante e assume vita propria. Ascoltiamo ora due strofe di Jugoslavia dei Coma Cose:

Fuori dai confini americani
Tentativi per entrare vani
Siamo messi che abbaiamo
Insomma siamo messi-cani

Ti do un’
OCB così ti calmi e dopo non mi uccidi
Vuoi fare Ho Chi Minh sì ma ocio man che duri dieci min

Quale è la connessione tra cani e messicani o tra una cartina OCB e il rivoluzionario vietnamita? e soprattutto quale il ruolo di queste parole rispetto al senso generale del brano? L’associazione è dettata prima di tutto da una serie di assonanze che dimostrano una giocosa e felice irriverenza nei confronti del significato dei singoli termini che sono usati come ritagli e messi insieme in un modo che risulta funzionale all’ascolto e alla scorrevolezza del testo, non dissimile all’allineamento delle braccia nel collage di Sarah Mosk o agli accostamenti cromatici nelle immagini di Bill Noir. Il suono e l’accentazione delle parole diventano di volta in volta la sagoma, il colore, il segno da allineare, mentre la parola stessa resta il ritaglio. Come nel caso dei collage, il risultato è indipendente dalle componenti impiegate e acquista valore per l’eleganza della sua struttura, il cui potenziale significato appare secondario e rilanciato alla soggettività di chi ascolta o di chi guarda.

Coma Cose mostra nell’uso della lingua e nella produzione di significato la stessa libertà irriverente che guida le scelte di chi si diverte a smontare e rimontare le immagini. Entrambi condividono un approccio formalista al materiale che trattano con l’elegante sicurezza di una virtuosistica sprezzatura. Ut pictura poësis.

Massimo Palazzi

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